Ultime ore di febbrili negoziati tra i produttori cinematografici e il Wga, il sindacato degli sceneggiatori, mentre le unions già preparano i cartelli dei picchetti che dalla mezzanotte di stasera paralizzeranno gli studi cinematografici e televisivi di Hollywood e del resto d’America se non verrà prima firmato un nuovo contratto al posto di quello che scade oggi. Non sarebbe la prima volta: nel 2008 lo sciopero, che finì per coinvolgere tutti i settori dell’industria cinematografica, bloccò le produzioni per 14 settimane mentre nel 1988 si arrivò addirittura a un stop di 153 giorni.
Stavolta, oltre alle questioni retributive e al malessere per la diffusione delle serie distribuite in streaming, molto redditizie per giganti come Amazon e Netflix mentre il ruolo (e il compenso) degli autori è assai ridotto, sul negoziato pesa l’uso crescente dell’intelligenza artificiale in ogni fase di produzione. Registi come Steven Spielberg, pur favorevole a un uso anche ampio della tecnologia nel cinema, purché sempre controllata dall’uomo, mette in guardia da sistemi nei quali l’intelligenza artificiale (AI) procede in modo autonomo: «Il cinema è emozione, non puoi far replicare l’esperienza umana dalle macchine».
Tra gli attori, frenano anche George Clooney (teme che un uso diffuso dell’AI aumenti diseguaglianze e discriminazioni, con algoritmi che perpetuano pregiudizi e riproducono stereotipi) e Tom Hanks che giudica insostituibile la magia di un gruppo di creativi riuniti per costruire una storia fantastica, anche se poi lui stesso, sullo schermo, verrà ringiovanito dall’intelligenza artificiale di Metaphysic Live in Here : il prossimo film di Robert Zemeckis nel quale l’attore comparirà in età diverse della sua vita.
Per il sindacato degli sceneggiatori (e per quelli degli attori e dei registi che hanno il contratto in scadenza a fine giugno) i timori sono soprattutto quelli relativi alle conseguenze sul lavoro: il Wga sostiene che non vuole divieti ma regole. Non è contrario all’uso dell’intelligenza artificiale ma chiede che sia integrata nel lavoro degli sceneggiatori, non deve poter essere usata in modo autonomo dai produttori: lo spettro degli autori è quello di ritrovarsi davanti a una società che accetta una sceneggiatura ma, non convinta da alcune scene, le sostituisce con altre costruire da ChatGPT o da altri algoritmi specializzati di AI.
La verità è che nessuno sa se e quando le nuove tecnologie saranno in grado di sostituire totalmente il lavoro dell’uomo: si cercano, così, salvaguardie contro un nemico in parte invisibile: che emerge all’improvviso quando, ad esempio, vengono presentati documentari con la voce degli scomparsi Anthony Bourdain e Andy Warhol ricostruita artificialmente. O quando l’attore James Earl Jones autorizza l’uso di vecchie registrazioni di Darth Vader per replicare la sua voce in prossimi film usando un processo di AI.
La gente dello spettacolo vuole almeno che il suo lavoro sia ben distinto da quello delle macchine. Il problema è che queste ultime, nel processo di machine learning , imparano dai professionisti, riproducono anche gli stili degli autori più ammirati. E alla fine, teme il sindacato, li sostituiranno.
Accade già per gli audiobook: da qualche mese la Apple offre un servizio che consente agli editori di libri di creare le loro versioni audio con voci di narratori dal timbro perfettamente umano ma, in realtà, prodotte da un’intelligenza artificiale: potenzialmente la fine del lavoro per i tanti attori che danno voce ai libri.
Davanti a contratti come quelli di Netflix che prevedono «il libero uso della simulazione della voce di un attore con tutte le tecnologie e i processi conosciuti oggi e con quelli che verranno sviluppati in futuro» i sindacati, scrive il New York Times, cercano di puntare i piedi (Netflix minimizza sostenendo che si tratta di clausole usate da anni per risolvere problemi tecnici).
Hollywood è da oltre un secolo una delle poche aree fortemente sindacalizzate d’America: e il mondo cinematografico, un tempo onnipotente, è impegnato da decenni in una disputa con i giganti della Silicon Valley che l’hanno progressivamente messo con le spalle al muro. Questa potrebbe essere un’ultima grande battaglia.